mercoledì 27 ottobre 2010

DIARIO IN VIAGGIO

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Volevo scrivere del Nepal, vediamo se ci riesco o se l’incazzatura prende anche qui il sopravvento.

Che sensazioni d'odori dispersi nell’ aria è fantastico stare da un’altra parte del mondo, perché tutto ha un altro sapore, ti credo, con il peperoncino che usano e le quantità industriali di aglio e zenzero qualsiasi cosa ha una altro sapore(ricordiamoci che molti vivono solo di quello con un po’ di patate in più, ironici sì, bastardi meglio di no), anche l’aria è diversa, qua vicino a Katmandù per esempio è ancora più malsana che quella nel nord bresciano, calcolata l’aria più inquinata “of the magic Lombardia”, noi che dovremmo vantarci del magico inceneritore e delle belle aziende che sparano fuori schifezze come scoregge dopo un pasto a base di lenticchie e fagioli, mamma mia, che schifo, anche se pur non sono feticista, preferisco l’odore di merda a quell’odore strano, appiccicaticcio, nero fuliggine che si sente nell’aria, ci dobbiamo dimenticare i cari e vecchi polmoni rosa, perché da statistiche si sa che nasciamo, causa aria, già con i polmoni grigi, che culo che hanno i nuovi bambini..
Comunque, volevo descrivere cosa vidi nei mesi di volontariato e farmi anche un po’ d’auto commiserazione, ricordo una piccola creatura mutilata che piange il suo destino, consapevole della sua deformazione,non professionale, si chiama Devil, anche se all’epoca aveva solo dieci anni non è più una bambina, come tante di loro,la fanciullezza è solo un sogno che verrà rincorso fino all’età adulta, ne so qualcosa, è già una donna, con ancor più problemi in quanto gli manca un piede e, il corpo è colmo di cicatrici inferte dalla Madre stessa; non sono mai riuscita a capire perché la Madre la ustionasse, ho cercato di domandare ma il loro contegno è sempre così arduo oserei dire, furbo, muovono quella testa da un lato all’altro delle spalle come a dire: “Non lo so, forse è andata come dici tu, ma io non ho detto nulla”, quasi a vergognarsi di pensare, di entrare in profondità e dare risposte alla parte intima e curiosa di noi, quindi non ho mai saputo, ho notato come per questa cultura è meglio non farsi domande o non esternarle, pensando solo fra se stessi, un bigottismo pesante che magari col tempo si scioglierà, sperando che non diventi progresso materiale visto che anche là c’è già e comunque a pensarci anche noi non ci facciamo domande, con una differenza, là per pudore e vergogna o che altro, qua per stupidità, ignoranza e menefreghismo, ho continuamente nella mente una sera durante una mostra in cui facevo un reading di poesie e alla fine, come due che starnazzano c’erano una mia parente e la sua amica che continuavano ad esternare cazzate come fossero al mercato, non domandandosi se le poesie gli fossero piaciute, infatti gliel’ho chiesto io, perché troppo prese dal loro tirarsela inutilmente perché la figura da zotiche purtroppo l’hanno fatta, perché avevo intorno persone di stima, giornalisti, autori, professori, artisti di vario calibro ecc..che tristezza l’ignoranza, è quasi una malattia che dilaga, un colera del ceto medio-borghese, si, penso che si possa definire così.
Tuttavia non ho mai ottenuto risposta, forse è la più semplice, magari è lo stesso motivo per cui una madre da noi ammazzi il figlio, o lo zio stupri la figlia, la nipote e così via, “Universi nascosti nella perversione ritmica del gelo”, insaziabilità di gioventù, quella che prima o poi ti lascia, se ne va, per certi versi, meglio che se ne vada, almeno diventi un pochino più lucido in quello che fai, sicuramente è una rottura diventare adulti perché ti girano i coglioni molto prima.

Dispiaceri umani,
non molto salutari
per climi aridi
in cortili ristretti,
polverosi,

non aiutano molto a superare l’ergastolo interiore del pensiero: “Sono diversa”, ed infatti Devil, aveva spesso crisi, pianti isterici e tutto questo essere lì presente mi ha fatto vedere me stessa quando ero soggetta agli stessi turbamenti, alle stesse crisi, così invece di portarla nel cortile per non far vedere nulla a nessuno, questa era la loro politica, la portavo a fare due passi, e mentre camminava piangendo si liberava perché il cammino aiuta a far scorrere l’acqua intorno e dentro di noi.
C’è un episodio in qui Devil non voleva nessuno e attaccata alla ringhiera del vicino in tre non riuscivamo a staccarla, è spettacolare l’energia che il corpo emana in certe situazioni, non sai come, a volte nemmeno lo ricordi, ma succede, sei più forte di tutto e tutti, allora, l’ho guardata e gli ho fatto cenno di seguirmi, lei naturalmente presa da se stessa e avendo dentro un moto di ribellione verso il mondo mi fece una gran smorfia con quegli occhi lucenti di lacrime a dirmi: “ Non ci penso neanche lontanamente a seguirti, nel caso sei tu che segui me” e così si staccò dalla ringhiera e iniziò a camminare, naturalmente davanti a me e io dietro, calma ad osservarla, ad osservare me stessa che cercava una ragione di vita nell’età tenera dei dubbi, delle malinconie e dei sudori freddi di tristezza.
La cosa si risolse in modo semplice, per quella volta, cioè, dopo un po’ che camminavamo lei stanca e moribonda dall’isterismo si gira mi chiama “Sister”, mi abbraccia, ride, sapendo del caos che ha provocato in casa e basta il mio di sorriso a farle capire che l’ho compresa e questo per lei, a bambine o ragazzine come lei, è una grande vincita, è una persona che ti ascolta, è uno sguardo che capisce, è qualcuno che sa e non ti giudica ma ti dice: “esterna, esterna”, perché quel modo arcaicamente chiuso che adottano in cui nessuno ha il compito di vedere dentro cosa succede, bisogna solo nascondere, impedisce di far comprendere loro che la rabbia che provano è naturale, un sollievo gettarla al di fuori della propria vita.

Dove il mondo si apre per loro,
dove galera e' ai miei occhi,
così vedo le loro manine giocare
frenetiche con corde d'elastici,
corde con un' infinità d'elastici neri,
aggrovigliati, intrecciati,
legati ed annodati fra loro
come tanti piccoli serpenti.

Ero lì solo da quattro giorni, sembrava già un'infinita', infinità di the', infinità di loro, infinità di tutto il tempo fermo e per inoltrare le nostra carni bianche stanche.
Mi dolgono i polpacci e le luci non si vedono ancora, solo cielo, terso, grigio, immenso, selvaggio, ricoperto di vento.

Leali Marusca ©

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