lunedì 25 ottobre 2010

DIARIO IN VIAGGIO

1

Stavo passeggiando in questo nuovo continente che m’aveva letteralmente sconvolto e,trovato una strada, la più vicina al mio istinto, quasi che il terzo occhio fosse già pronto all’uso, la imboccai seguendo i miei sensi.
I sensi hanno sempre ragione, è improbabile che non l’abbiano, si fatica a crederci, ma ce l’hanno,mi incamminai compiendo il perimetro del paese, man mano che mi allontanavo dal centro, sempre meno negozi, sempre meno gente, ero anche impaurita, comunque mi trovavo in un paese lontano e non avevo ancora visto o conosciuto niente di quella gente e sapevo che questa strada m'avrebbe portato ad un incrocio che conoscevo e che era quello per la via di casa, lo sentivo, lo calcolavo guardando il tempio, ma non immaginavo di vedere così presto, con i miei occhi, quello che tanto avevo cercato di comprendere e trasmettere con l’umanità nella mia zona “salva” del mondo, vidi semplicemente cosa fosse la miseria in persona, l'oblio terreno di morti viventi, non politica, religione o bellezza naturale che tenga a questa visione, avevo persino vergogna a guardare in faccia la gente,un lato triste dove non c’erano case, strutture, ma baracche, pozzanghere, bambini con a spalle altri bambini, gente per terra, appoggiata alle proprie baracche devastata in viso dalla stanchezza di vivere, con una domanda negli occhi che era cosa vivo a fare, perché sono vivo e io camminavo nella mia vergogna d’essere bianca, a testa bassa, con la faccia alla strada continuavo ad andare avanti, mi è mancò il fiato per guardarli, salutarli, mi sentivo in colpa per quel mio mondo “salvo”, per essere nata nell’ozio di televisori stanchi, annoiati come le giornate d’autunno passate a descrivere stati d’animo, è stato un duro colpo, non c’era niente che potesse sorprendermi di più, non un abbraccio, neanche la sorpresa di una persona ritrovata m’avrebbe fatto dimenticare dove mi trovassi e cosa avessi visto. Tutti mi guardavano, forse non erano molti i bianchi capitati lì, ero agitata e non sapevo come comportarmi, poco dopo la via finì immettendosi in un grande incrocio, decaduto se pur grande dove si affacciava il tempio e si rimaneva frastornati al pensiero che ai piedi degli Dei ci fosse la povera gente moribonda, sicuramente il mio era un pensiero da turista che visita città volendo vedere solo la parte sorridente e bella di qualsiasi zona del mondo, ma non ero là come turista, ero partita con l’intento di fare del volontariato e poi ci riuscii benissimo, sempre con il pensiero a un’economia bugiarda, fatta di capitalismi fantasmi che girano a vuoto, continuando ad impoverire, continuando a far nascere odio, gelosie, invidie e soprattutto razzismo evoluto in amor di patria, come se uno si fosse svegliato alla mattina travestito da ken il guerriero mettendosi in cammino per liberare la popolazione da quel male che si chiama “Gente diversa” e la cosa sconcertante è che il popolo ci crede, crede che noi siamo schiavi del sud.italia, o schiavi degli extracomunitari, non rendendosi conto che nessun federalismo avrà effetto positivo, perché al nord ci saranno sempre fabbriche con lavoratori, anzi fra un po’ ci costruiranno due belle centrali nucleari, così avremo nuovi posti di lavoro e saranno sempre al nord, incrementando le frasi fatte, che qua c’è lavoro e noi manteniamo il sud, ti credo se la forza lavoro viene costruita qua non è che giù telepaticamente lavorano e se poi vengono su ecco che si scatena il moto patriottico, il mini subbuglio in nome della possessione che poi di possesso non abbiamo proprio un cazzo se non il dire, questo è il mio cane,il mio gatto che poi se gli girano i coglioni, mordono e ti dicono, ascolta pezzo di merda che mai pure castrato, portami al canile che è meglio stare tra cani che con te che vuoi possedermi e credi di avere la ragione in tasca paragonandoti ed avendo la magra certezza di essere meglio degli altri, solo perché hai uno sporco e misero lavoro che ti permette di avere il modello di macchina migliore, il televisore 3D del cazzo e l moglie cornuta, meglio stare con i morti di fame che con i presunti benestanti ipocriti bugiardi.
Davvero se potessi vivere una vita di fandonie vorrei averla morendo di fame, sognando il redimersi dei pezzi di merda, il redimersi dell’ignoranza che dilaga, come una diga rotta, ma che dico, squarciata ed ancora sognerei la resa dei signori che comandano, il pentimento dei propri peccati, magari con un bel discorso: “Scusate, scusate tanto, sono stato un vigliacco ladro di vite meglio morire che vedermi ancora cattivo”, ma, sono i miei sogni da morta di fame, di una che con questa gente piena di sé, impulsivamente egoista e con la puzza sotto al naso non ha niente a che vedere perché essere convinti davvero che noi stiamo lavorando per il sud o per altri che ci tolgono lo stipendio è un’assurdità, perché anche se questi vermi scomparissero dalla terra, noi dovremmo comunque lavorare e non per noi, sempre per far andare avanti lo stato, l’economia, il capitalismo del cazzo, senza aumenti o meriti, trattati come prima e pur è così facile da capire, perciò gli uomini sono così ottusi, l’improbabilità che la specie si evolva in qualcosa di più grande è davvero minuscola, siamo in pochi a viaggiare in un’altra direzione, spirituale o reale che sia, più si diventa grandi e più ci rende conto di come siamo messi, attorniata dal mio concetto preferito, attorniati dalla massa incandescente che ci sbudella, ci fracassa i maroni con inutili discorsi sulla legalità del proprio valore, ma fottetevi, andate a vedere un po’ di gente che muore di fame, state un po’ con loro e vediamo se poi capite che il vostro lavoro è uguale a quello di una formica, che conta solo il cibo che riuscite a recuperare con quei quattro soldi che guadagnate facendovi mettere a novanta, facendovi frustare agli occhi della famiglia, non c’è nulla da ridere perché anch’io lavoro in un ambiente di merda, di uomini dove, quindi, essendo donna non capisco, non c’arrivo e mi devo sorbire il loro maschilismo falso macismo, con giornate da isterismo estremo in cui le liti sorpassano di gran lunga le ore di lavoro, estenuante il comprendere come siamo piccoli essere colorati, trasformati in grigio scale tonali, tombali, dove è bello solo l’innocenza di un bambino che poverello non sa cosa gli aspetta, pur essendo nato nella parte salva del mondo, fra apparecchi che simulano il rumore della foresta con una luce fluorescente e specie di ventilatori trasformati a giochino delle api, pappe pronte all’uso per la donna che non deve chiedere mai, cibi precotti, latte di cui non si sa la provenienza, sostanze polverose che non so, non voglio immaginare, per carità, non so realmente chi sta meglio o peggio, se noi pieni di tutte le cagate o loro che ingoiano pure la carta che trovano per strada per placare i morsi della vera fame, non della finta, come la nostra che ci viene insegnata da bambini: “Hai fame? Guarda che è ora della merenda?Dai mangia?” e che cazzo, vedrai che se uno ha fame l’istinto di chiedertelo gli viene ti lancia dei messaggi, non subliminali è certo però è come quello di andare a cagare, dai, quando ti scappa ti scappa e come se la fai, mamma mia che ignoranza che dilaga, sono senza speranze, per fortuna che ogni tanto faccio meditazione e trovo qualcuno che si libera di questi ideali, o che almeno ha una coscienza che li sprona a non arrendersi alle debolezze, perché ovunque cu giriamo riceviamo solo impulsi a chiudere la conoscenza, a tappare sottovuoto il nostro pensiero, guardatevi, mi fate ridere..

Leali Marusca ©

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